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22/01/11

L’isola di plastica





Un’isola di plastica nell’Oceano Pacifico: la maggior parte di noi avrebbe difficoltà a crederci. 
Ma è proprio così. Abbiamo raccolto alcune informazioni interessanti, disponibili online, sul fenomeno.  Dategli un’occhiata. 
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Il Great Pacific Garbage Patch, o Grande Chiazza di Rifiuti del Pacifico, è un enorme accumulo di rifiuti galleggianti situato nell’Oceano Pacifico settentrionale, approssimativamente tra la California ed il Giappone, a nord-ovest delle Hawaii, un punto dove le diverse correnti oceaniche si uniscono formando un gigantesco vortice d’acqua in movimento a spirale in senso orario.  

Le correnti oceaniche

Ma come si è formato? Questo enorme accumulo di rifiuti è un fenomeno che si è formato gradualmente nel tempo, a causa dell’azione delle correnti oceaniche, che producono l’aggregazione dei rifiuti presenti nell’ambiente marino. Occupa un’ampia area dell’Oceano Pacifico settentrionale, circoscritta dal cosiddetto Vortice del Pacifico Settentrionale ed è un fenomeno relativamente stazionario. Il movimento a spirale del vortice attira rifiuti da tutto l’oceano. Quando i rifiuti galleggianti vengono catturati dalle correnti, si spostano gradualmente verso il centro del vortice per l’azione delle correnti superficiali generate dai venti, rimanendo intrappolati nell’area. Ma non è l’unico fenomeno di questo tipo: un analogo accumulo di rifiuti si trova nell’Oceano Atlantico, chiamato North Atlantic Garbage Patch o Grande Chiazza di Rifiuti dell’Atlantico; si tratta di un’altra chiazza di rifiuti galleggianti scoperta recentemente all’interno del Vortice dell’Atlantico Settentrionale.     

La Grande Chiazza di Rifiuti del Pacifico è stata scoperta nel 1997 da un oceanografo, Charles Moore, mentre navigava al largo delle Hawaii. “Mi sono trovato di fronte ad un’immensa distesa di plastica, a vista d’uomo non c’era altro che plastica,” ha dichiarato Moore. “Durante la settimana che ci abbiamo messo per attraversarla, a qualsiasi ora del giorno vedevamo rifiuti che galleggiavano ovunque: bottiglie, tappi di bottiglia, confezioni e frammenti di plastica. La metà di essi erano solo minuscoli frammenti di difficile identificazione. Non è stata tanto una rivelazione quanto più che altro una crescente e angosciante sensazione che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato in tutto ciò.”  Sotto la superficie dell’acqua, fino ad una profondità di 10 metri, c’erano una miriade di minuscoli frammenti di plastica, di diversi colori, che galleggiavano vorticando come fiocchi di neve o cibo per pesci.  A Moore è venuto un pensiero terribile, così ha iniziato a pesare la plastica presente in acqua e a paragonare il peso con quello del plancton. “Ha vinto la plastica, e non di poco. Abbiamo trovato una quantità di plastica sei volte superiore al plancton, una cosa incredibile”, racconta. “Nessuno aveva idea di ciò che stesse accadendo, né delle possibili conseguenze per l’ecosistema marino, né ancora della provenienza di tutti questi rifiuti.”      



Marcus Eriksen, direttore di ricerca della Fondazione Americana Algalita Marine Research Foundation, fondata da Moore, ha dichiarato: “In principio, le persone si erano fatte l’idea che fosse un’isola formata da rifiuti di plastica sui cui fosse quasi possibile camminare. Non è proprio così. E’ più che altro una specie di zuppa di plastica.” 

Le dimensioni di quest’area ricoperta di detriti sono tuttora sconosciute: alcuni dicono che sia grande il doppio del Texas, altri il doppio degli Stati Uniti continentali… ma il punto non è quanto sia grande, è che ci troviamo di fronte ad uno dei maggiori disastri ambientali provocati dall’uomo e che questo fenomeno cresce di anno in anno!       
La plastica non si biodegrada, ma foto-degrada

Greenpeace ha stimato che il 10% della plastica prodotta ogni anno finisce nell’oceano. Secondo il Programma Ambientale delle Nazioni Unite, nel mondo oltre un milione di uccelli marini e 100.000 mammiferi e tartarughe marini muoiono ogni anno perchè ingeriscono plastica o perché restano impigliati nei rifiuti. I pesci e gli uccelli marini scambiano la plastica per cibo e muoiono soffocati.     

Sono state intraprese diverse iniziative per studiare il fenomeno ed educare il pubblico sulle sue implicazioni. Per attirare attenzione sulla cosa, l’erede di una delle fortune più cospicue al mondo, David de Rothschild, ha intrapreso un’impresa straordinaria: un viaggio nel Pacifico a bordo del Plastiki, un catamarano di 20 metri fatto di bottiglie di plastica e rifiuti riciclati. L’obiettivo è di evidenziare le diverse minacce ambientali, tra cui la pesca eccessiva e i cambiamenti climatici, ma la parte più importante del tragitto del Plastiki è l’attraversamento della Grande Chiazza di Rifiuti del Pacifico.       
Il "Plastiki" di David de Rothschild
Charles Moore, fondatore della Fondazione Algalita, è il Capitano di una barca da ricerca, la ORV Alguita, a bordo della quale lui e il suo team di ricercatori viaggiano verso le regioni più remote dell’Oceano Pacifico per studiare l’inquinamento marino prodotto dalla plastica. Dalla sua incredibile scoperta, infatti, Moore si è dedicato a studiare il fenomeno e a sensibilizzare il pubblico sul suo significato, sulla vastità dell’inquinamento marino e del suo impatto sulla vita.     

La plastica non si biodegrada ma si foto-degrada. L’esposizione prolungata al sole causa una scomposizione delle catene dei polimeri in particelle sempre più piccole. Quindi, ad eccezione di una esigua percentuale di plastica che viene incenerita, ogni singola molecola di plastica mai prodotta è tuttora presente nell’ambiente, e ci sono circa 100 milioni di tonnellate di plastica che galleggiano negli oceani. Recentemente è stato trovato un albatro che aveva nello stomaco un pezzo di plastica che risaliva agli anni ’40. Anche se smettessimo di produrre plastica domani stesso, il pianeta dovrebbe affrontare le sue conseguenze ambientali per migliaia di anni, anche sul fondo degli oceani, dove si stima che finisca il 70% dei detriti di plastica che si trovano nei mari.          

“La plastica, come i diamanti, è per sempre” – Charles Moore